![Legis actio sacramento Legis actio sacramento](/modules/owlapps_apps/img/nopic.jpg)
In diritto romano con l'espressione Legis actio sacramento (o sacramenti o per sacramentum) si indicava uno schema procedurale di antichissima applicazione che poteva essere utilizzato per la tutela di qualsivoglia pretesa che fosse comunque riconosciuta dallo ius civile arcaico.
L'antico schema prevedeva una sfida tra due contendenti (l'actor, "colui che avvia l'azione", e il reus, "convenuto, colui che è chiamato in giudizio") posti su un piano di parità. Ciascuna delle parti affermava con parole solenni o la spettanza di una determinata res (e in tal caso si aveva la legis actio sacramento in rem) o l'una negava e l'altra affermava l'esistenza di un credito (e in tal caso si aveva la legis actio sacramento in personam). Il sacramentum era per l'appunto la solenne sfida, la scommessa, in origine un giuramento con implicazioni religiose donde il nome sacramentum, e chi usciva sconfitto al termine della controversia era costretto a pagare la summa sacramenti per aver giurato il falso.
Il giurista romano Gaio ci descrive la legis actio sacramento nel suo stadio evolutivo avanzato, allorquando questo modo di lege agere aveva già perso la sua implicazione religiosa. Nelle sue istituzioni la definisce generalis e periculosa:
Il rituale antichissimo della legis actio sacramento in rem postulava la presenza dei due contendenti e della res (o della persona) oggetto di controversia, e la cosiddetta vindicatio ossia la pronuncia di parole solenni con le quali veniva rivendicata la appartenenza della cosa (o della persona, nel caso di vindicatio del filius familias). Le parole del formulario che le parti in causa dovevano pronunciare, compiendo gesti solenni prestabiliti, sono stati tramandati dal IV commentario delle Istituzioni di Gaio con riferimento alla rivendica di uno schiavo:
Qualora invece la controversia avesse avuto per oggetto un bene che non poteva essere agevolmente portato in ius, come una colonna o un gregge, si usava l'espediente di portare in ius solo una piccola parte della cosa, che fungeva da simbolo. Su questa si faceva la vindicatio fingendo di farla sulla restante parte della res. Così, per continuare gli esempi appena indicati, nel caso del gregge si vindicava sopra una sola pecora, o addirittura sopra un pelo di essa (vel etiam pilus dice Gaio), e se si trattava di una colonna bastava una scheggia di essa. Se invece la lite verteva su di un fondo, si portava in giudizio una piccola zolla. Anche qui Gaio ci tramanda le parole esatte:
Durante lo svolgimento del rituale uno dei due contendenti poteva scegliere di non proseguire e di ritirarsi. In tal caso il procedimento veniva interrotto e la res veniva aggiudicata all'altro contendente. Tale ipotesi diede vita all'istituto della in iure cessio.
Lo svolgimento di questo rituale avveniva nella prima fase del procedimento, detta in iure, innanzi a un magistrato giusdicente (a partire dal 367 a.C. il pretore). I due contendenti potevano avvalersi di garanti, i quali davano la loro parola che, una volta emanata la sentenza definitiva, avrebbero reso il bene oggetto del contendere, al soggetto riconosciuto vincitore. Il pretore, dopo le formule solenni, concedeva il possesso interinale al contendente con i garanti ritenuti più idonei. La seconda fase, detta apud iudicem, si teneva dinanzi a un giudice, privato cittadino romano, scelto da entrambi i soggetti perché ritenuto giusto arbitro nella controversia. In questa fase i contendenti si avvalevano di testimoni e prove per avvalorare la loro causa e, infine, il giudice assegnava la proprietà definitiva. Tale sentenza era inappellabile, e la controversia irripetibile. Ovviamente se la "res" era assegnata a colui che nella fase in iure non era stato nominato possessore in itinere, allora questo doveva restituire il bene a quello che ora era il legittimo proprietario, più eventuali "vantaggi" maturati durante il possesso provvisorio.
La legis actio sacramento in personam si svolgeva in modo analogo alla legis actio sacramento in rem. Nella fase in iure l'attore, sempre con parole solenni e seguendo una rigida formula, affermava di vantare un credito nei confronti del convenuto, indicando la somma dovuta, e rivolto al contendente chiedeva di confermare o negare. In caso di negazione si passava alla sfida reciproca al sacramentum e poi si continuava come per la legis actio sacramento in rem.
La summa sacramenti, pagata dalla parte la cui affermazione risultava infondata, veniva incassata dall'erario e non dalla controparte.
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