![Aribert Heim Aribert Heim](/modules/owlapps_apps/img/nopic.jpg)
Aribert Ferdinand Heim (Bad Radkersburg, 28 giugno 1914 – Il Cairo, 10 agosto 1992) è stato un medico austriaco, membro delle SS.
Figlio di un poliziotto e di una casalinga, studiò medicina a Graz. Si unì alle SS dopo l'Anschluss. Nella primavera del 1940 aderì come volontario alle Waffen-SS arrivando al grado di Hauptsturmführer.
Fu il medico nel campo di sterminio di Mauthausen. Denominato anche «dottor Morte» o «macellaio di Mauthausen», torturò ed uccise centinaia di persone con vari metodi, tra cui iniezioni letali dirette al cuore.
Era ricercato, e sulla sua testa pendeva una taglia di 300 000 euro. A Massagno, in Svizzera, l'ex moglie possiede una palazzina; si pensa che gli utili derivati da essa l'abbiano aiutato nella sua fuga. Le autorità svizzere ritengono infatti che il divorzio di Heim dalla moglie sia stato unicamente una mossa tattica. Nel 2006 sembrava essere stato individuato in Cile dove viveva la figlia Waltraud fin dagli anni settanta.
Agli inizi del 2009 una televisione tedesca ha affermato che il criminale nazista sarebbe morto di cancro in Egitto nel 1992, come riferito dal figlio, da alcuni conoscenti e da una copia del certificato di morte. Nel 2010 vengono avanzati nuovi dubbi sul suo reale decesso: Efraim Zuroff, direttore del Centro Wiesenthal, afferma in un'intervista che: "Il caso è ancora aperto".
Il profumo delle foglie di limone (titolo originale Lo que esconde tu nombre) è il best seller di Clara Sánchez. È il suo primo romanzo ad essere stato tradotto in diverse lingue, e in Spagna si è visto assegnare il premio Nadal.
I due narratori sono anche i due protagonisti: Sandra, recatasi in Costa Blanca per godersi una vacanza, è una trentenne ancora confusa sul proprio futuro; Julián, andato in Costa Blanca sulle tracce di un ex nazista, è un ottantenne che vive in Argentina sopravvissuto agli orrori del campo di concentramento di Mauthausen. I due alternano le loro voci per raccontare opinioni e punti di vista a volte differenti a volte uguali di una stessa, orribile situazione che entrambi si sono trovati a vivere loro malgrado.
Sandra, insicura dei propri sentimenti nei confronti del padre del bambino, si reca in Costa Blanca, a casa di sua sorella, per godersi il sole ed il mare. Lì incontra una coppia di amabili vecchietti norvegesi, Fredrik e Karin, che, oltre ad ospitarla in casa loro, fanno di tutto per renderle quella tranquilla vacanza ancora più piacevole. Julián, vedovo e anziano, padre di una ragazza preoccupata per lui, va in Costa Blanca per vendicarsi degli orrori subiti durante la prigionia nel campo di concentramento di Mauthausen. Infatti lì risiede ancora una coppia di nazisti, oramai anziani come lui. Ma Julián si è dato il compito di stanarli, in onore del suo vecchio amico Salva, ormai defunto. I due nazisti si chiamano Fredrik e Karin Christensen. Notando la vicinanza di Sandra ai due terribili signori e alla loro ancor più orribile Confraternita, Julián la avvisa dei pericoli che sta correndo.
La ragazza lo aiuta così nelle sue ricerche, correndo innumerevoli e continui pericoli, e scopre come Karin, e con lei tutte le donne e gli uomini che la circondano, facciano uso di quello che credono un potente elisir di giovinezza. In realtà, come ben presto scoprirà Julián, questo non è altro che un potente complesso vitaminico che non può, in realtà, rallentare il loro invecchiamento. Questa è la sua piccola vendetta personale, e contento di ciò passa il suo tempo restante in compagnia di una ragazza diventata sua amica, inserviente in un ospizio. Dal canto suo, Sandra torna dalla sua famiglia e ai suoi problemi, non senza lasciare in Costa Blanca piccole parti del suo cuore: la prima, piena di odio e risentimento, verso Fredrik e Karin, quei due orribili vecchi che tanto le hanno rovinato la vita; la seconda per Julián, il suo adorabile amico, che con tutta probabilità l'ha salvata; e la terza per Alberto, un giovane appartenente alla Confraternita, del quale la ragazza si era innamorata prima di ripartire, per poi restarne profondamente delusa. Si scoprirà successivamente che Alberto era solo un infiltrato all'interno della Confraternita, che teneva d'occhio tutti quei nazisti al fine di impedire i loro malefici piani. Morirà in un incidente d'auto molto sospetto.
All'interno del romanzo è riportato il nome di un personaggio realmente esistito, Aribert Heim, anche detto "il macellaio di Mauthausen" o "dottor Morte", per via della sua enorme crudeltà e freddezza.
La ratline è stato un sistema di vie di fuga con cui, alla fine della seconda guerra mondiale, criminali di guerra nazisti e collaborazionisti fuggirono, in prevalenza verso l'America Latina, per evitare i processi a loro carico in Europa.
Queste vie di fuga portavano verso "luoghi sicuri" come il Sudamerica, in particolare l'Argentina, ma anche il Paraguay, il Brasile, l'Uruguay, il Cile e la Bolivia. In altri casi i criminali si diressero verso gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, il Canada e il Medio Oriente. La prima tappa del viaggio era principalmente la Spagna franchista, da qui ci s'imbarcava per l'Argentina; un'altra via di fuga portava dalla Germania a Roma, quindi a Genova e infine in Sudamerica, per mezzo dell'aiuto anche di alcuni prelati e la presumibile connivenza del Vaticano e assenso degli Stati Uniti. Le due vie furono organizzate "indipendentemente" ma alla fine ci fu un coordinamento.
La parola ratline nel glossario marinaresco inglese, indica il piolo di corda che, collegato alle sartie, permette la salita fino alla cima degli alberi dei velieri (in italiano grisella). Significa letteralmente "linea dei ratti", e trae origine dal fatto che tali corde rappresentano l'ultimo rifugio sicuro per i ratti durante un naufragio, prima di essere inghiottiti dalle acque. Per estensione, il termine fu utilizzato dai servizi segreti statunitensi per riferirsi al canale di fuga dall'Europa ideato dai nazisti e fascisti.
Reti di esfiltrazione naziste sono state raccontate nell'omonimo libro da parte dei giornalisti Mark Aarons e John Loftus, australiano il primo, statunitense il secondo.
Alla fine del secondo conflitto mondiale la rete di esfiltrazione, venne creata per consentire l'evacuazione di agenti dei servizi segreti nazisti, ma anche di molti gerarchi del regime. Sostanzialmente vi furono due principali vie di fuga: la rete organizzata del vescovo Alois Hudal creata per coprire la fuga dei criminali di guerra tedeschi; una seconda creata per gli ustascia croati, diretta e coordinata da padre Krunoslav Draganović, segretario dell'Istituto Croato di San Girolamo, il principale organizzatore delle reti di esfiltrazione utilizzate da noti criminali di guerra per sfuggire alla giustizia. Scopo di tali operazioni era quello di nascondere queste persone, ricercate per i crimini di cui si erano resi responsabili, nell'intento di poter combattere così l'emergente minaccia comunista, questo in virtù della loro opposizione a questa ideologia.
Nel 1947, finita la guerra e in piena occupazione alleata, i nazisti che riuscirono a scampare al processo di Norimberga diedero vita ad un'organizzazione dal nome O.D.E.SS.A, acronimo che sta per Organisation der ehemaligen SS-Angehörigen (in tedesco Organizzazione degli ex-membri delle SS). Tale organizzazione si prefiggeva di spostare capitali accumulati, per lo più sottratti alle vittime dell'Olocausto, all'estero e di produrre documenti per evacuare i membri in paesi sudamericani.
Alcuni dei più noti criminali di guerra fuggiti attraverso le reti di esfiltrazione naziste:
Grazie alle ricerche documentarie si è scoperto che gran parte di queste fughe furono organizzate da un alto prelato, Rettore dell'Istituto Pontificio Santa Maria dell'Anima, il vescovo Alois Hudal. Questi, esponente filonazista e antisemita della Chiesa cattolica - che durante la guerra ricopriva l'incarico di commissario dell'Episcopato dei cattolici tedeschi in Italia e di padre confessore della comunità tedesca in Roma - era, inoltre, membro della congregazione vaticana del Sant'Uffizio. Nel 1937 aveva scritto un'apologia del nazismo pubblicata a Lipsia e a Vienna, I fondamenti del nazionalsocialismo, e tale dimostrazione di fede ne aveva fatto l'uomo di fiducia di Hitler in Vaticano. Nei suoi scritti aveva affermato che «il nazionalsocialismo è una grazia divina». La Chiesa, scriveva Hudal, doveva venire a patti con i nazionalsocialisti “conservatori”, in cui egli continuava ad aver fiducia.
Nel libro di Gitta Sereny Into That Darkness: An Examination of Conscience Stangl descrisse come Hudal organizzò il suo espatrio, approntando e falsificando documenti: passaporto, visti e permessi di lavoro. Mark Aarons e John Loftus sostengono che Hudal fosse amico di Pio XII e che Siri era non solo coinvolto nella rete del vescovo Hudal ma uno dei “principali coordinatori”. Inoltre «Siri era il contatto di Walter Rauff» tramite il quale Hudal faceva fuggire clandestinamente dall'Europa i criminali di guerra.
All'interno dell'organizzazione Odessa, il “compartimento” organizzato dalla Chiesa cattolica, denominato “Canale dei ratti” (Rat Channel) o anche “via dei monasteri”, a detta di alcuni storici e dei servizi segreti, fu il più efficace: secondo le stime, cinquemila esponenti nazisti riuscirono a scappare grazie ai servizi di questa organizzazione. Secondo Rivelli la sua sede centrale a Roma era il monastero croato di San Girolamo degli Illirici vicino al Porto di Ripetta, ove operava monsignor Krunoslav Draganović coadiuvato dall'arcivescovo ucraino Ivan Bucko e da numerosi sacerdoti croati. Come i servizi segreti statunitensi ebbero modo di scoprire, «molti dei principali criminali di guerra ustascia e collaborazionisti» vivevano nel monastero, che era «pervaso di cellule di militanti ustascia». Protetti dalla Chiesa cattolica, questi croati si consideravano un governo in esilio. Molti dei ministri del gabinetto croato nascosti a San Girolamo erano fuggiti dal campo di prigionia di Afragola e facevano la spola tra il Vaticano e il monastero diverse volte la settimana in un'automobile con tanto di autista e targa diplomatica. «Parte dal Vaticano e scarica i passeggeri all'interno del monastero» affermarono i servizi segreti americani.
Collaboratori del vescovo Hudal erano i sacerdoti cattolici Leopold von Gumppenberg, Bruno Wustenberg (poi promosso nunzio apostolico in alcuni Paesi africani e nei Paesi Bassi), Heinemann e Karl Bayer. Ex-paracadutista dell'esercito hitleriano, Karl Bayer fuggì dal campo di prigionia di Ghedi, vicino a Brescia, grazie all'aiuto del sacerdote cattolico Krunoslav Draganović. Intervistato molti anni dopo da Gitta Sereny, ricordò come lui e Hudal avessero aiutato i nazisti con l'appoggio del Vaticano. «Il Papa forniva effettivamente denaro a tal scopo; a volte col contagocce, ma comunque arrivava» disse Bayer. La storica Gitta Sereny ha ipotizzato che il Vaticano possa aver usato Hudal come capro espiatorio per i suoi stessi sforzi in aiuto dei nazisti in fuga.
Inoltre, il vescovo «Hudal racconterà il proprio attivismo per il “canale dei topi”, rivendicherà di avere personalmente contribuito a salvare oltre 1000 “perseguitati”, e definirà tutta l'operazione come un “compito svolto per incarico del Vaticano”».
Secondo Ignacio Klich e Jorge Camarasa, «Se oggi forse è comodo individuare nel vescovo Hudal il principale responsabile delle evasioni, è necessario sottolineare che né la “via dei monasteri” né il suo stesso ruolo durante la guerra sarebbero stati possibili senza il consenso della Santa Sede». Nei rapporti dei servizi segreti americani, che confermano le testimonianze di Hudal e Bayer, sono elencate in dettaglio le responsabilità vaticane e la partecipazione di numerosi religiosi all'attività illegale e clandestina connessa al “Rat Channel”. Uki Goni aggiunge: «L'apertura dell'archivio post bellico della Croce rossa ha finalmente messo la parola fine all'annosa questione se i criminali nazisti furono o meno aiutati dalla chiesa cattolica nella loro fuga in Argentina. Il verdetto che emerge dall'analisi dei suoi documenti, unitamente a quella di altre fonti dell'archivio, è inconfutabile: cardinali quali Montini, Tisserant e Caggiano organizzarono la fuga dei nazisti; vescovi e arcivescovi quali Hudal, Giuseppe Siri e Berrere attivarono le procedure necessarie; prelati come Draganović, Heinemann e Domoter firmarono le loro richieste di passaporto […] Il confronto incrociato tra le informazioni in esse contenute e i documenti conservati in altri archivi americani, argentini e svizzeri permette di costruire un quadro completo del consapevole coinvolgimento della chiesa cattolica nell'opera di salvataggio dei criminali di guerra». Michael Phayer conclude: «Permettendo che il Vaticano venisse coinvolto nella ricerca di un rifugio per i colpevoli dell'olocausto, Pio XII commise la più grande scorrettezza del suo pontificato».
Alcuni storici contestano la reale esistenza di una organizzazione simile e ridimensionano di molto le responsabilità del Vaticano e degli altri enti quali la Croce Rossa nel trasferimento degli ex-nazisti fuori dall'Europa. Secondo i loro studi risulterebbero alcune operazioni, slegate tra loro, che videro in alcuni casi coinvolti uomini dei servizi segreti Usa e inglesi con la complicità non sempre consapevole di alcuni uomini di chiesa. Secondo lo storico tedesco Heinz Schneppen, autore di "Odessa und das Vierte Reich" (Odessa e il Quarto Reich) ci furono singole complicità nella fuga di alcuni criminali, ma mancherebbero le prove dell'esistenza di un'organizzazione internazionale specificamente appoggiata dal Vaticano.
Secondo la testimonianza Karl Bayer, futuro segretario generale della Caritas Internazionale, nella confusione dell'immediato dopoguerra non c'era tempo per controllare il passato di tutti, anche perché «se uno voleva raccontarci di essere nato a Viareggio - non importa se era nato in realtà a Berlino e non masticava una parola d'italiano - gli bastava andare in strada e avrebbe trovato dozzine d'italiani pronti a giurare per cento lire su una pila di Bibbie che era nato a Viareggio» e come di conseguenza fosse facile per chi volesse procurarsi documenti e facilitazioni per l'espatrio.
È stato inoltre affermato che dietro alla maggioranza delle fughe dei nazisti ci fossero in realtà i servizi segreti delle potenze vincitrici, soprattutto URSS e USA, in aperto contrasto tra loro, per evitare che personaggi con importanti informazioni o conoscenze finissero nel campo avverso. Queste avendo occupato militarmente l'Europa potevano pretendere o ricercare la collaborazione anche degli enti preposti al rilascio di permessi o che avrebbero potuto facilitare le operazioni, i quali ovviamente non avrebbero potuto rifiutare le richieste fatte dai vincitori del conflitto. Il New York Times nel 2010 venne in possesso di un rapporto del Office of Special Investigation (Osi) istituito nel '79, del Ministero della giustizia, che rivelava i nominativi e le modalità di queste "emigrazioni". L'Operazione Paperclip il programma di trasferimento negli Usa degli scienziati nazisti, per lavorare alla produzione di missili ad esempio portò negli usa circa 2000 ex-nazisti e i loro parenti. Tra i beneficiari di questa operazione ci fu Arthur Rudolph, l'ex direttore della Mittelwerk, la fabbrica del Terzo Reich responsabile della produzione dei razzi V2 che fu trasferito negli Stati Uniti nel '45. Anche Otto Von Bolschwing, il braccio destro di Adolf Eichmann, si stabilì negli USA nel '54 e fu addirittura assunto dalla Cia.
ODESSA (acronimo tedesco di Organisation Der Ehemaligen SS-Angehörigen, "Organizzazione degli ex membri delle SS") fu una rete di ex gerarchi e criminali nazisti fuggitivi, organizzata verso la fine della seconda guerra mondiale da un gruppo di ex ufficiali delle SS con la collaborazione e l'aiuto di alcuni soggetti nel Vaticano per consentire la fuga dei gerarchi nazisti in America Latina, principalmente in Cile e Perù.
Il concetto di una struttura organica e unitaria dedita al salvataggio e alla copertura di SS e criminali nazisti denominata ODESSA diviene noto nel 1972, grazie al grande successo del romanzo thriller Dossier Odessa, scritto dal celebre scrittore di spionaggio Frederick Forsyth (avvalendosi anche della consulenza di Simon Wiesenthal), poi portato sul grande schermo da Ronald Neame col film omonimo del 1974.
Su ODESSA sussistono controversie essendo gli autori divisi circa l'esistenza di un'unica struttura e sui suoi organizzatori, nel complesso quadro generale dei numerosi e diversificati canali di fuga e copertura di cui si avvalsero criminali nazisti per sfuggire alla giustizia nel dopoguerra, e per il loro coinvolgimento nelle attività di vari servizi di sicurezza e servizi segreti durante la guerra fredda.
Secondo alcune ricostruzioni, la nascita di Odessa va fatta risalire ad un momento anteriore alla fine della guerra: il 10 agosto 1944, alla Maison Rouge di Strasburgo, settantasette nazisti che non si facevano alcuna illusione su quello che sarebbe stato l'esito finale della guerra si riunivano per organizzare la loro salvezza. Pare fossero lì presenti i portavoce dei più alti gerarchi, quali Martin Bormann, Albert Speer ed i più importanti industriali e banchieri tedeschi. I primi miravano solo a fuggire, i secondi a conservare gli immensi guadagni accumulati con le forniture belliche allo Stato tedesco. Nel migliore dei casi, infatti, gli uomini delle SS sarebbero stati condannati a morte dai vincitori e gli imprenditori espropriati di tutti i loro averi. I due gruppi trovarono un accordo reciprocamente vantaggioso. Gli imprenditori avrebbero finanziato la fuga dei gerarchi, i quali avrebbero custodito e gestito tutti i capitali trasferiti all'estero; i gerarchi avrebbero cioè permesso la fuoriuscita di capitali tedeschi in Paesi amici e in cambio gli industriali li avrebbero "ringraziati" nominandoli dirigenti tecnici delle ditte trapiantate all'estero.
A seguito dell'incontro di Strasburgo cospicue somme di denaro vennero subito trasferite in banche di paesi neutrali: Svizzera, Spagna, Turchia e, soprattutto, Argentina e Paraguay. Grazie ai capitali tedeschi vennero create di lì a poco numerose società commerciali: secondo un rapporto del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti risalente al 1946 furono nel complesso 750 le imprese finanziate dagli industriali nazisti: 112 in Spagna, 58 in Portogallo, 35 in Turchia, 214 in Svizzera, 98 in Argentina e 233 in varie altre nazioni.
Grazie all'esperienza maturata nel corso della guerra da ufficiali dell'RSHA, in un lasso di tempo relativamente breve l'ODESSA riuscì, inoltre, a mettere in piedi un complesso sistema di corrieri, che riuscì a far fuggire clandestinamente dalla Germania gli uomini delle SS. Alcuni riuscirono persino a procurarsi un lavoro come autisti dei camion dell'esercito americano sull'autostrada Monaco-Salisburgo, nascondendo i fuggitivi sul retro dei veicoli per farli passare oltre il confine austriaco. Ogni 50 km era stanziata una Anlaufstelle ("Centro di ricezione") di ODESSA, gestito da non più di cinque persone, che erano a conoscenza soltanto delle due Anlaufstellen che precedevano e seguivano la propria lungo il percorso. Molti uomini delle SS terminavano il loro viaggio a Bregenz o a Lindau, due località sul lago di Costanza, da dove passavano in Svizzera e infine salivano su voli aerei civili diretti in Medio Oriente o in Sudamerica.
ODESSA percorreva anche la cosiddetta Via dei Monasteri (detta anche ratline o Rattenlinien, ovvero la via dei ratti), che si snodava tra l'Austria e l'Italia, così chiamata per il fatto che i fuggiaschi riparavano nei luoghi di culto, memori di una tradizione medievale per cui tali luoghi erano inviolabili e quindi sicuri per definizione. Inoltre l'organizzazione manteneva importanti contatti con il personale delle ambasciate di Spagna, Egitto, Siria e di numerosi Paesi sudamericani.
Secondo Simon Wiesenthal la formazione di “comitati di soccorso” per l'assistenza ai criminali detenuti ebbe una parte rilevante nella genesi dell'organizzazione ODESSA. Sotto la copertura degli aiuti umanitari questi comitati raccoglievano fondi, stabilivano contatti tra vecchi camerati e contrabbandavano lettere. La via di fuga principale attraversava la Svizzera e poi l'Italia. Ad aiutare i gerarchi in fuga, secondo Wiesenthal, sarebbero stati alcuni prelati della Chiesa cattolica, in particolare i francescani, che nascondevano i fuggiaschi da un monastero all'altro. Wiesenthal ritiene che tale aiuto sia stato dato fraintendendo il concetto di carità cristiana.
Ricercati come Heinrich Müller, capo della Gestapo, e molti altri criminali di guerra probabilmente utilizzarono ODESSA per scomparire; altri nazisti come Adolf Eichmann, Josef Mengele, Erich Priebke, Klaus Barbie, Aribert Heim, trovarono rifugio in America Latina, essenzialmente in Paesi senza estradizione e poterono essere smascherati e assicurati alla giustizia solo dopo molti anni. Tra questi, Eichmann, largamente responsabile della logistica della "soluzione finale", che fu scoperto e rapito dal Mossad in Argentina per essere tradotto in Israele, giudicato e conseguentemente giustiziato per i suoi crimini. Erich Priebke invece fu ritrovato da un giornalista americano che lo intervistò; a seguito di questa intervista fu catturato, processato e condannato dalla giustizia italiana.
Uno dei principali organizzatori di ODESSA fu l'SS-Obersturmbannführer Franz Roestel, che aveva combattuto nella divisione "Frundsberg" delle Waffen-SS; mentre altri ritengono che l'SS-Obersturmbannführer Otto Skorzeny e l'SS-Sturmbannführer Alfred Naujocks siano stati attivi nell'organizzazione e in particolare Skorzeny fosse il direttore della struttura. Uki Goñi, nel suo libro The Real Odessa: Smuggling the Nazis to Perón's Argentina, suggerisce che il Vaticano abbia avuto un ruolo attivo nella copertura dei gerarchi nazisti in fuga. Analoga ricostruzione fanno Daniel Jonah Goldhagen, e Michael Phayer. Il giornalista tedesco Guido Knopp avanza l'ipotesi che ODESSA sia più un mito che una reale organizzazione strutturata e che in realtà le vie di fuga furono molteplici.
Erberto è un nome proprio di persona italiano maschile.
Continua il nome germanico Haribert, composto da hari ("esercito") e beraht ("brillante"), e può quindi essere interpretato come "brillante guerriero", "illustre guerriero", "che rifulge nell'esercito", "splendore dell'esercito", "chiaro in guerra" e via dicendo.
Essendo formato da due degli elementi più diffusi nell'onomastica germanica, il nome contava numerosissime varianti, dalle quali discendono i vari adattamenti italiani sopra elencati. Venne importato in Inghilterra dai normanni, dove andò a sostituire un nome inglese antico imparentato, Herebeorht: divenuto raro durante il Medioevo, venne ripreso nel XIX secolo.
L'onomastico si può festeggiare il 16 marzo, in memoria di sant'Eriberto, vescovo di Colonia, oppure il 20 agosto, in ricordo di sant'Erberto Hoscam, arcivescovo di Conza.
Francesc Boix i Campo (Barcellona, 14 agosto 1920 – Parigi, 4 luglio 1951) è stato un fotoreporter spagnolo. Partigiano comunista, fu attivo combattente nella guerra civile spagnola contro Francisco Franco. Fu imprigionato nel campo di concentramento di Mauthausen dove per conto delle SS documentò con migliaia di foto diversi crimini nazisti compiuti sui prigionieri, e le visite al campo di importanti burocrati. Fu testimone chiave al Processo di Norimberga e al Processo di Dachau testimoniando sui crimini del campo. Nel dopoguerra e fino alla sua morte fu fotoreporter a Parigi.
Francisco Boix nasce a Barcellona, nel quartiere popolare di El Poble-sec, due decenni prima di quella che diverrà la Spagna franchista. Primo di tre figli di un sarto catalano simpatizzante di sinistra e appassionato per la fotografia, Francisco cresce in un ambiente proletario tanto che fin da ragazzo è già un attivo militante della Gioventù Socialista della Catalogna (Joventuts Socialistes Unificades). Grazie anche alla passione trasmessagli dal padre, durante la guerra civile spagnola lavora come fotografo per la rivista Juliol armato di una Leitz 1930 «regalatagli dal figlio di un diplomatico sovietico».
Nel 1938 combatte nella 30ª Divisione dell'esercito della Seconda Repubblica spagnola. Nel febbraio 1939 i repubblicani spagnoli, fra cui Francisco, impossibilitati a proseguire la lotta contro le truppe franchiste, sono costretti ad esiliare in Francia in quello che è meglio conosciuto come l'Esilio repubblicano spagnolo. Internato come rifugiato prima nel Campo d'internamento di Le Vernet e poi a Septfonds, viene reclutato dalla Compagnie de travailleurs étrangers, una compagnia di lavoratori stranieri, ausiliaria dell'esercito francese
Ma nel 1940 inizia l'Occupazione nazista della Francia e Il 27 gennaio 1941 Boix è catturato dai tedeschi e internato nel Campo di concentramento di Mauthausen identificato con un triangolo blu che a Mauthausen contrassegnava i prigionieri politici spagnoli. Sarà a Mauthausen per ben quattro anni e fin al 5 maggio 1945 ovvero quando sopraggiunge l' «11ª Divisione Corazzata americana» che libera gli ultimi prigionieri rimasti nei campi di concentramento di Gusen e Mauthausen. Durante l'internamento a Mauthausen, come dichiarò al processo di Norimberga, ebbe modo di visitare nel 1943 anche il Campo di concentramento di Gusen, ed ebbe anche occasione di vedere cosa accadeva nella cava di Mauthausen. A Mauthausen infatti Boix viene impiegato dalla SS come fotografo e operatore del laboratorio fotografico esistente nel campo, quindi gestisce e visiona migliaia di negativi e foto sui crimini compiuti nel campo, immortalando anche i burocrati nazisti in visita al campo, che in seguito difficilmente avrebbero potuto giustificarsi asserendo che non conoscevano quanto di criminale venisse perpetuato in quel campo. Sottrae anche diverso materiale dall'archivio fotografico che gli permetterà di essere uno dei testimoni chiave, come scrive lo storico Vincenzo Pappalettera, delle efferatezze compiute nel campo austriaco in due importanti processi ai criminali nazisti, quello internazionale di Norimberga e quello americano di Dachau.
Dopo la liberazione di Mauthausen si trasferisce a Parigi dove lavorerà come fotoreporter per diversi giornali e riviste. Ha solo 30 anni quando nel 1951 muore a Parigi di tubercolosi, contratta a causa delle privazioni patite nel campo di concentramento. È ancora presto, fa notare il giornalista Leoncarlo Settimelli, perché anche la Spagna si occupi della sua Memoria, visto che Francisco Franco è ancora al potere, ma dal 2002, quando viene pubblicato dallo storico spagnolo Benito Bermejo il libro Francisco Boix, el fotografo di Mauthausen, Fotografías de Francisco Boix y de los archivos capturatos a los SS de Mauthausen, tutto il mondo avrebbe conosciuto il rivoluzionario fotografo di Mauthauasen
Furono 9.328 gli spagnoli internati nei campi di concentramento nazisti, di questi, ben 7.532 furono internati nel solo campo di Mauthausen, fra questi c'era Francisco Boix, che sopravvisse alle 4.816 vittime spagnole uccise nel campo austriaco.
Boix giunge a Mauthausen il 27 gennaio 1941, «un campo di livello 3, riservato secondo la classifica di Heydrich ai detenuti "praticamente irricuperabili"». La prima assegnazione come per altri suoi connazionali sarà la famigerata cava di granito, sotto la supervisione del brutale SS, Hans Spatzenegger direttore delle cave. Ben presto però, grazie all'aiuto dei suoi compatrioti comunisti del blocco 2, che rispetto agli altri connazionali che lavoravano nelle cave, godevano di certi privilegi perché impiegati in servizi indispensabili come cuochi, segretari, tecnici o barbieri, fu assegnato al servizio identificazione (erkennungsdienst) dei prigionieri, un lavoro "privilegiato" e questo grazie al fatto di essere stato prima della prigionia un fotografo.
Il servizio identificazione era gestito dalla Gestapo che identificava e fotografava i prigionieri al loro arrivo, schedandoli, anche se molti SS ne approfittavano per sviluppare e stampare soggetti personali. Boix dall'archivio esistente nel reparto identificazioni del campo si accorse anche di come molte foto erano usate come propaganda idealizzando il campo di Mauthahusen come un luogo "normale" con «falsi prigionieri [...] ben nutriti e felici». Un'altra scoperta che Boix fece, fu quella che una sezione dell'archivio fotografico aveva un considerevole numero di foto di internati morti "accidentalmente" e illegalmente uccisi, ragion per cui a Mauthausen tutto veniva fotografato. Il responsabile dell'erkennungsdienst era Paul Ricken, un fanatico nazista, che secondo il racconto che in seguito ne fece Boix, fu da subito interessato ad avere un assistente che aveva il compito di fotografare con una Leica scene e soggetti che di volta in volta gli avrebbe indicato.
Cinque mesi dopo il suo internamento, il 21 giugno 1941, Boix prende una decisione audace e allo stesso tempo pericolosa per la sua stessa vita: ruberà le foto che dimostrano «le stragi di massa», inoltre, siccome è lui che sviluppa i negativi per poi stamparli, farà una copia in più di quelle foto che dimostrano la ferocia dei nazisti sugli internati. Comunica la sua idea ai componenti principali del partito comunista nel lager, per averne l'approvazione. Sono in pochissimi a conoscere quel piano, e nonostante i rischi, Boix ottiene il nullaosta del partito considerando che se anche un solo individuo potesse sopravvivere e portare la testimonianza di quelle foto fuori dal campo, «il gioco [anche se pericoloso] varrebbe la candela». Il primo lavoro commissionato a Boix da Ricken fu la ripresa in infermeria di un cadavere deceduto ufficialmente per "crisi cardiaca" in realtà «era stata iniettata benzina direttamente nel cuore», uno dei tanti esperimenti del dottor morte Aribert Heim e di Eduard Krebsbach. Boix ebbe modo di collaborare con Ricken in diverse riprese di morti ammazzati a Mauthausen.
Le foto e i negativi rubati volta per volta venivano nascosti in una prima fase, in un luogo inviso ai nazisti, il crematorio. Al mattino il materiale "parcheggiato" nel crematorio veniva invece "trasferito" permanentemente nella falegnameria del campo in cui lavoravano i compatrioti di Boix, ed in cui c'erano decine di nascondigli in un ambiente trafficato e rumoroso. Furono eseguiti 30 furti e usati diversi nascondigli. Una delle occasioni più importanti che poteva dimostrare fotograficamente che i vertici delle SS e del NSDAP conoscevano quanto accadeva a Mauthausen si presentò quando il campo fu visitato dal Reichsführer delle SS, Heinrich Himmler, accompagnato da Ernst Kaltenbrunner (successore di Reinhard Heydrich a capo del RSHA, «ovvero il responsabile di tutte le deportazioni nei campi di concentramento»), da diversi membri del partito ed impiegati delle industrie che sfruttavano la cava di Mauthausen. Ricken in quella occasione riprese tutto l'evento per cui il materiale fu a disposizione di Boix che, con uno stratagemma, fu portato fuori dal campo e consegnato a Frau Pointner, una donna coraggiosa che aveva rischiato la vita nascondendolo «in un buco del muro» dietro casa sua. Dopo la liberazione di Mauthausen da parte degli americani, Boix recuperò la sua "refurtiva".
La testimonianza di Boix con parte delle foto e dei negativi trafugati da Mauthausen vennero usati in due processi, quello internazionale di Norimberga e quello di Dachau condotto da giudici americani per i crimini commessi a Mauthausen. A Norimberga le sue fotografie e la sua testimonianza servirono ad incastrare Ernst Kaltenbrunner fotografato insieme ad Himmler e Franz Ziereis a Mauthausen. Kaltenbrunner aveva mentito ai giudici dichiarando di «non sapere dei campi».
Nel 2017 la sindaca di Parigi Anne Hidalgo, in una solenne cerimonia, ha reso omaggio a Francisco Boix. Nel riconoscere i meriti per il suo lavoro negli anni trascorsi nel campo di sterminio di Mauthausen, ha voluto riesumare i resti dal cimitero di Thiais, dove rischiavano di scomparire, per dare loro sepoltura nel Cimitero di Père-Lachaise, non distante da Paul Éluard e Gerda Taro.
Le fotografie di Francisco Boix su Mauthausen fanno parte oggi di diverse collezioni visibili presso istituzioni e musei del mondo. Il National Archives and Records Administration (NARA) di Washington, negli Stati Uniti ha fotografie originali del fotografo catalano, catalogate come "Collezione fotografica Francois Boix".
Alla sua vita nel campo di concentramento è dedicato il film Il fotografo di Mauthausen.
Jaguar è una serie televisiva spagnola del 2021.
Spagna, anni '60, il governo di Francisco Franco ospita e protegge numerosi criminali nazisti fuggiti dai territori del Terzo reich. Isabel Riaza, unica sopravvissuta della sua famiglia al Campo di concentramento di Mauthausen, entra a far parte di un gruppo di uomini il cui compito è quello di catturare i nazisti sfuggiti a Norimberga e fare in modo che siano processati per i loro crimini. Sostenuti economicamente da persone la cui identità non è nota, il loro intermediario è una donna che incontra il capo della banda, Lucena, davanti ai quadri del Museo del Prado. Isabel e il gruppo devono infiltrarsi nel giro di Otto Bachmann, che dirige Odessa, l'agenzia che ha permesso e permette ai nazisti di fuggire dall'Europa, senza essere fermati e processati. L'obiettivo in particolare è Aribert Heim, medico del campo di Mauthausen.
La sigla ha come canzone Vientos del pueblo, una canzone di Ebri Knight, ispirata all'opera di Miguel Hernández, poeta e drammaturgo spagnolo, ucciso dai falangisti durante la guerra civile spagnola.
Il Simon Wiesenthal Center (SWC) è un'organizzazione non governativa con sede a Los Angeles (California), fondata nel 1977 e intitolata a nome di Simon Wiesenthal, il famoso cacciatore di nazisti. Il Centro è accreditato come un'organizzazione non governativa (ONG) presso le Nazioni Unite, l'UNESCO e il Consiglio d'Europa.
Il quartier generale del SWC si trova a Los Angeles. Ma vi sono anche altri uffici internazionali nelle città di New York, Miami, Toronto, Gerusalemme, Parigi e Buenos Aires. Attraverso queste sedi il Centro porta avanti la sua missione per la conservazione della memoria dell'Olocausto.
Il SWC si definisce nella sua mission come "un'organizzazione ebraica internazionale per i diritti umani dedicata a riparare il mondo un passo alla volta." Il centro promuove il cambiamento attraverso le azioni dello Snider Social Action Institute "affrontando l'antisemitismo, l'odio e il terrorismo, promuovendo i diritti umani e la dignità, stando a fianco di Israele, difendendo gli ebrei in tutto il mondo e insegnando le lezioni dell'Olocausto per le future generazioni".
L'organizzazione mira a favorire la tolleranza e la comprensione attraverso il coinvolgimento della comunità, l'impegno educativo e l'azione sociale. Il Centro interagisce strettamente su base corrente con una varietà di agenzie pubbliche e private, incontrandosi con funzionari eletti, con i governi degli Stati Uniti ed esteri, con diplomatici e capi di stato. Altri temi che il Centro tratta comprendono: la persecuzione dei criminali di guerra nazisti, combattendo contro le reti ODESSA; l'Olocausto e l'educazione alla tolleranza; gli affari mediorientali; nonché i gruppi estremisti, il neonazismo e l'odio su Internet.
Tra il 1984 e il 1990 il Centro pubblicò sette volumi del Simon Wiesenthal Center Annual, incentrati sugli studi accademici riguardanti l'Olocausto. Il loro codice è ISSN 0741-8450.
Nel novembre del 2005, il Direttore della sede di Gerusalemme del Simon Wiesenthal Center, Efraim Zuroff, scovò Aribert Heim, un ex-nazista che fu fuggiasco in Spagna per più di 20 anni. Si ritiene che Aribert Heim sia morto nel 1992 al Cairo, in Egitto, senza mai incorrere in un processo. Lo stesso mese, il Centro fornì anche il nome di quattro sospetti ex-nazisti alle autorità tedesche. I nomi erano il primo risultato dell'Operation Last Chance, una campagna lanciata lo stesso anno dal Centro per ritrovare gli ex-nazisti sfuggiti alle autorità prima che questi morissero di vecchiaia.
L'organizzazione prende nome da Simon Wiesenthal, un ex ingegnere architettonico ed ebreo austriaco che perse molti membri della sua famiglia nell'Olocausto, e s'impegnò in seguito di dare la caccia ai Nazisti e di portarli davanti alla giustizia. Fondò e diresse il Centro di Documentazione Ebraico (Jewish Documentation Center) a Vienna. Simon Wiesenthal non ha avuto nulla a che fare con il funzionamento o le attività dell'SWC a parte dare il suo nome.
Il SWC è diretto dal rabbino Marvin Hier, il suo Decano e Fondatore. Il rabbino Abraham Cooper è il Decano Associato e il rabbino Meyer May è il Direttore Esecutivo. L'organizzazione pubblica una rivista stagionale, Response.
Il Museo della Tolleranza, braccio educativo del Centro, fu fondato nel 1993 e ospita annualmente 350.000 visitatori. Alcuni dei programmi sponsorizzati dal Museo includono:
Il Centro per la Tolleranza di New York (New York Tolerance Center) è una struttura di formazione multimediale per lo sviluppo professionale che si rivolge a educatori, tutori della legge e praticanti dei governi statali/locali.
Il Centro Simon Wiesenthal e il suo Museo della Tolleranza è una delle molte organizzazioni associate al Servizio austriaco all'estero (Auslandsdienst) e al corrispondente Servizio austriaco commemorativo dell'olocausto (Gedenkdienst).
Moriah Films, anche conosciuto come la "Jack e Pearl Resnick Film Division" del SWC, fu creato per produrre documentari teatrali educativi per un pubblico sia nazionale che estero, con una particolare attenzione ai diritti umani, le sfide etiche e le vicende ebraiche. Due film prodotti dal reparto, Genocide e The Long Way Home hanno ricevuto l'Academy Award for Best Documentary Feature.
La biblioteca e gli archivi del Centro a Los Angeles contengono una collezione di circa 50.000 volumi e materiali non stampati. Inoltre, gli archivi contengono fotografie, diari, lettere, manufatti, opere d'arte e libri rari, che sono consultabili da ricercatori, studenti e pubblico.
Il Centro appare nella storia basata su una vicenda vera Freedom Writers. Il Centro viene ripreso dall'esterno, e ci sono scene ambientate all'interno, le quali mostrano l'entrata nelle camere a gas e nei campi della morte.
L'8 marzo 2007, il capo per le relazioni internazionali del Simon Wiesenthal Center, Stanley Trevor Samuels, è stato condannato (e poi assolto in appello) per diffamazione da un tribunale di Parigi per aver accusato l'organizzazione Comitato per la Carità e il Supporto ai Palestinesi (CBSP) di inviare fondi alle famiglie dei kamikaze palestinesi. Nel fargli causa, il CBSP etichettò le accuse come "ridicole", sostenendo che i suoi fondi erano destinati a 3000 orfani palestinesi. La corte giudicò che i documenti forniti dal Centro non sostenevano in nessun modo le dichiarazioni di Samuels, e che quindi le sue dichiarazioni erano seriamente "diffamatorie". Il Wiesenthal contestò la sentenza, e la corte d'appello assolsee Samuels nel luglio 2009.
Dopo che un giornale canadese riferì riguardo alla controversia legale del 2006 circa una legge iraniana (gli esuli iraniani parlavano infatti di una costrizione per cui le minoranze religiose erano costrette ad indossare un distintivo che le classificasse come musulmane), il preside del Simon Wiesenthal center, Rabbi Marvin Hier, scrisse al Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan affinché facesse pressioni, insieme a tutta la comunità internazionale, sull'Iran affinché facesse cadere la norma. Le autorità iraniane in seguito negarono l'esistenza di tale provvedimento.
Nel gennaio 2004 la sede parigina del Centro chiese al Presidente irlandese, Mary McAlesse, di sospendere l'Irish Museum of the Year Award assegnato all'Hunt Museum di Limerick, fino alla conclusione dell'accertamento in corso circa la provenienza di alcuni oggetti facenti parte dell'esposizione. Ciò si era rivelato necessario a causa degli stretti legami tra i fondatori del museo, John e Gertrude Hunt a capo del Partito Nazista in Irlanda (NSDP-AO), tra gli altri, e i sospetti britannici di attività spionistica da parte della coppia durante la Seconda Guerra Mondiale. Il Centro dichiarò inoltre: "La guida del museo descrive solo 150 dei 2000 e più oggetti presenti nella collezione e, soprattutto, senza fornire indicazioni circa la loro provenienza, come, secondo i recenti accordi internazionali, dovrebbe fare ogni museo".
Si accusava così l'Hunt Museum di aver saccheggiato pezzi d'arte durante la guerra, ma tale accusa venne bollata come "estremamente dilettantesca" dall'esperto Lynn Nicholas. Il richiamo venne comunque preso abbastanza sul serio dato che un'indagine fu svolta dalla prestigiosa Royal Irish Academy, il cui resoconto del 2006 è disponibile online. McAleese, interpellata dal Centro, allora accusò il dottor Samuels di aver ordito una "trama di menzogne", aggiungendo che il Centro aveva svilito il nome di Wiesenthal. Il Centro replicò allora che aveva giù preparato il suo "contro-report" di 150 pagine e questo era al vaglio dei propri avvocati, ma fino al novembre 2008 di certo nulla si è visto al riguardo.
La sede ierosolimitana del museo, ancora da completare nel 2009, provocò le proteste della popolazione musulmana. Il museo sta venendo costruito in quello che il Rabbi Marvin Hier ha descritto un "territorio derelitto": un millenario cimitero musulmano chiamato Cimitero di Mamilla, molta parte del quale è già stata asfaltata. Le proteste sono state respinte dalla Suprema Corte Israeliana, portando centinaia di persone a protestare pubblicamente nel novembre 2008. Il 19 novembre 2008 il Centro ricevette una lettera da parte di leader religiosi di entrambe le parti che lo invitavano a desistere dal suo progetto.
A febbraio 2010 il progetto per il Museo della Tolleranza è stato pienamente approvato dalle autorità israeliane e il cimitero di Mamilla sta venendo distrutto. Le corti stabilirono che comunque la manutenzione del cimitero era stata trascurata, e in effetti è così, non funzionando il sito da cimitero da decenni (ciononostante la zona era comunque adibita ad altri usi), ed era quindi mundra (abbandonato) dalla legge islamica.
Il Simon Wiesenthal Center si è opposto alla nascita del Park51, un centro comunitario musulmano, a due isolati da Ground Zero. Il direttore esecutivo del Museo della Tolleranza del Centro a Manhattan, Rabbi Meyer May, ha detto che il centro sarebbe stato inopportuno. The Jewish Week fece notare che il Centro stesso fu accusato di intolleranza quando fece costruire un museo a Gerusalemme, sopra un cimitero musulmano, dopo aver avuto le opportune autorizzazioni.
Il Simon Wiesenthal Center ha preso bene la notizia che il Vaticano, per reintegrare il vescovo Richard Williamson, gli ha prima chiesto di rinunciare alle sue posizioni sull'Olocausto. Williamson era uno dei quattro vescovi appartenenti alla Società di San Pio X scomunicati 20 anni fa per aver preso parte alla consacrazione di vescovi contraria alla legge canonica.
Il Simon Wiesenthal Center ha criticato molte dichiarazioni di Hugo Chávez, inclusa quella del gennaio del 2006 in cui il presidente dice che "il mondo è per ognuno di noi, ma vi è una minoranza, quella dei discendenti degli assassini di Cristo, quella dei discendenti degli stessi che cacciarono Bolívar da qui e lo crocifissero alla loro maniera laggiù a Santa Marta, in Colombia. Una minoranza ha preso possesso di tutti i beni del mondo..." Il Simon Wiesenthal Center omise il riferimento a Bolívar senza ellissi, dicendo che si trattava di una frase che Chávez rivolgeva agli ebrei, ed etichettò come "antisemite" queste dichiarazioni in quanto alludevano alla ricchezza degli ebrei. Allo stesso tempo, secondo Forward.com, l'American Jewish Committee, l'American Jewish Congress, e la Confederazione delle Associazioni Ebraiche Venezuelane difesero Chávez, dicendo che egli non si riferiva agli ebrei, ma all'oligarchia bianca sudamericana. La rappresentanza in Sudamerica del Simon Wiesenthal Center replicò che il riferimento ai deicidi di Chávez era "nella migliore delle ipotesi ambigua" e che la "decisione di criticare il presidente venezuelano era stata ben ponderata".
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